Quello sano va dal patologo e quello malato resta in loco.
Da qui
leggo la notizia citata nel titolo di questo post, ancora un errore,
a mio parere, dovuto alla fretta e alla distrazione con cui in ogni
campo si lavora.
Più di una volta ho
dovuto rilevare errori di questo tipo in referti radiologici,
ecografici o in anamnesi consegnatemi all'uscita da un pronto
soccorso.
Se il medico lavora
con lo smartphonre acceso accanto, magari silenziato, comunque lo
sguardo gli corre alle notifiche e la sua attenzione, oltre che dalle
proprie preoccupazioni, comuni ad ogni umano, è divisa anche con
esso e, per quanto egli sia convinto di essere “multi-tasking”,
commetterà errori di questo tipo.
Nel caso in
questione pare che l'errore si sia generato proprio in fase di
refertazione radiologica.
Pare inoltre che non
si sia potuto completare l'ureteroscopia, che precede solitamente
l'intervento, per problemi anatomici.
Non è chiaro
dall'articolo se l'ureteroscopia sia stata tentata all'uretere del
rene malato o di quello sano.
Non è neppure
chiaro se il paziente abbia letto il referto, se avesse al momento la
necessaria lucidità mentale e la formazione culturale per
interpretare i termini le abbreviazioni del “medichese” se abbia
avuto, almeno oralmente l'informazione corretta, o se, come oramai
capita solitamente, il radiologo abbia visto e refertato la
radiografia in tempi successivi all'esame e il paziente abbia
ritirato l'esame e il referto successivamente, a un anonimo
sportello da un impiegato amministrativo.
Il caso della
distrazione o del copia incolla sbagliato provoca molti danni in
molti ambiti, mi è capitato di leggere ricorsi alla commissione
tributaria provinciale con cifre di altri ricorrenti, di avere
fatture con codice fiscale di altre persone con stesso cognome e
nome, di avere dimissioni da ospedale con luogo di nascita sbagliato,
e che il mio dire il luogo di nascita corretto fosse interpretato dal
medico che mi interrogava come “iniziale decadimento cognitivo”.
Come ci si può
difendere da errori di questo tipo?
Innanzi tutto credo
che i medici debbano smettere non solo l'uso della penna, ma anche
delle abbreviazioni, inoltre bisogna che al paziente sia data la
centralità che gli spetta, egli deve sempre essere informato di quel
che accade e accadrà, egli, in casi come questi, può essere
l'ultima sentinella di controllo prima che accada l'irreparabile,
come in questo caso.
Troppo spesso il
paziente viene posto in anestesia, senza che neppure, quando è
ancora vigile e lucido, sia messo un braccialetto con l'indicazione
sintetica dell'intervento informandolo chiaramente.
Gli ospedali fanno
firmare un “consenso informato” al paziente, prima di esami
invasivi o pericolosi, che dovrebbero essere illustrati dal medico
per chiarire dubbi su termini o altro, ma solitamente gli si dice di
firmarli e di consegnarli all'infermiere prima di entrare.
Si tratta di una
pratica estremamente pericolosa a mio avviso, a me personalmente
capitò di vedere la dottoressa che doveva praticarmi una
pancolonscopia solo quando oramai ero già mentalmente in uno stato
di ebrezza farmacologica e non più in grado di articolare parola.
La centralità del
paziente deve passare dalle parole ai fatti, dai convegni alle corsie
e agli ambulatori.