Io goccia d'un'onda,
in balìa del vento
io, spuma, e schizzi,
io, aria divento,
restare volevo
negli abissi quieti,
silenti, oscuri,
abbandonati,
quindi sicuri.
Io venni trascinata,
a riveder le stelle,
dall'àncora incurante,
con rami di corallo
e con silicee spugne,
io fui tra lor morenti,
così caddi sul ponte,
di lì nella sentina,
ove sostai, pensosa,
quanto non so,
mi parve assai,
ora son spuma
e non mi fermo mai,
alla mercé del vento,
tal sono e mi sento.
Così dicea la goccia
della schiuma di mare,
frizzando le sue bolle,
serena, ma non doma,
alla macchia oleosa
in cui specchiava
l'arcobaleno assente.
Io pure, disse il petrolio,
di lontano vengo,
tra i sargassi rinacqui
a questo cielo terso,
in me porto il ricordo
di un mondo assai diverso,
ne fui esiliato a lungo,
nell'Ade oscuro e caldo
restavo, rassegnato,
a rispettar, tacendo,
i ritmi del pianeta,
che sfarina il granito,
che digerisce il tempo,
ma venne un ascesso,
una suppurazione,
e venni espulso in mare.
Ora mi spando bene,
copro la spuma bianca,
ne faccio schiuma densa,
del color del letame,
che giunta sulla sponda
segna il confin letale.
Oppur resto, silente,
a fare specchio a un cielo
sempre più spopolato
di sterne e di gabbiani,
di svassi e cormorani,
di folaghe e di aironi,
di martin pescatori,
di falchi e di gruccioni,
pivieri e pivieresse,
chiurli e porciglioni,
se tacciono loro
devo parlare io?
Milano 27 Maggio 2010
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